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argomento
La
storia è ambientato nel 1492, quando fu espugnata Granada dai re cattolici e
furono cacciati prima gli ebrei e dopo i musulmani. Protagonisti sono tre
bambini, una piccola ebrea, un ragazzino arabo e un mozzo genovese. I due primi
in fuga incontrano il mozzo sulla caravella che li porta via dalla Spagna e che
verrà attaccata dai corsari barbareschi. Rimasti soli, dopo una serie di
avventure che cimenta la loro amicizia fra Algeri, il deserto, Rodi e
Costantinopoli, alla fine rientreranno in una dimensione "normale"
ritrovando le proprie famiglie, ma i loro destini si divideranno anche se rimarrà
per sempre il senso della loro amicizia.
dalla quarta di
copertina
Granada,
1492. La dominazione del sultano Boabdil è finita e i re cattolici entrano in
città da trionfatori, sfilando di fronte allo sguardo attonito della folla
radunata sotto la fortezza dell'Alhambra. Ma le intenzioni dei nuovi sovrani non
tardano a manifestarsi: ebrei e musulmani devono convertirsi o abbandonare il
regno per sempre.
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A Esther e Amir,
10 e 13 anni, e alle rispettive famiglie non resta che fuggire verso
Costantinopoli.
Ha così inizio
un lungo viaggio che li porterà in Algeria, Grecia e infine in Turchia
attraverso mari, deserti e luoghi inospitali, nel corso del quale i due
ragazzi troveranno un amico, Nino, un mozzo genovese della loro età, ma
verranno divisi dai loro cari e dovranno fronteggiare da soli pericoli e
insidie in un'avventura che li unirà per sempre e segnerà il loro futuro
destino.
Una storia di
amicizia, di avventura, di incontri di mondi diversi. |
comincia
così...
Granada,
la
città del melograno
Fin
dall'alba di quella limpida giornata di inizio gennaio del 1492, come in
tutta Granada, anche la viuzza dove abitava Esther si era animata di
grida, di richiami, delle litanie dei mendicanti e delle voci stentoree
dei venditori d'acqua.
L'assedio
dell'esercito dei re di Castiglia e di Aragona, che aveva portato alla
popolazione tante sofferenze, si era finalmente concluso con la resa del
Sultano e la gente si stava radunando sempre più numerosa sotto la
fortezza dell'Alhambra per assistere alla consegna della città nelle mani
dei vincitori. La cerimonia pubblica avrebbe segnato la fine della lunga
guerra condotta dai sovrani cattolici per la conquista dell'intero
territorio spagnolo. |
Gavriel,
il padre di Esther, era già uscito: voleva avere notizie sul suo
lavoro. Era uno dei tanti scrivani ebrei in servizio presso la
cancelleria, ma l'attività era stata sospesa da qualche giorno in
attesa delle disposizioni dei nuovi sovrani. La mamma, invece,
impastava la farina con aria assente, come se tutta quella
confusione non la riguardasse. «Elisheva, non vieni a vedere il
corteo?» domandò affacciandosi alla porta Yasmina, la moglie di
Adam, capo della segreteria del Sultano.
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Indossava
la lunga tunica scura e ricamata che usava per recarsi il sabato
alla sinagoga e si era messa un fazzoletto nuovo fiammante,
trattenuto intorno alla testa da cordicelle intrecciate.
L'altra
scosse il capo: «Non capisco tutto questo entusiasmo. A noi i
cambiamenti portano sempre disgrazia».
«Ma
che dici!» la rimproverò scherzosamente l'altra.
«Madre,
allora non ci andiamo?» chiese Esther, una bambina minuta dagli
occhi di cerbiatta. Da giorni aveva sentito parlare di questo grande
evento; non capitava spesso di poter vedere da vicino i potenti che
solitamente vivono chiusi nei loro palazzi.
Elisheva
guardò il viso deluso di sua figlia e disse, non molto convinta: «Tu
vai pure con Yasmina, ma non staccarti mai da lei». |
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